Soluzioni & Tecnologie
Competenze per l'integrazione
[ Abstract da pag. 112-117 di “ZeroUno-Mondadori” (Dicembre 2002) ]
Analizziamo una proposta di Gartner in tema di integrazione delle applicazioni e delle attività di business: creare in azienda un Integration Competency Center, struttura composta da persone di diversa estrazione e diverse capacità cui affidare sia il ruolo di 'motore' aziendale dei processi integrativi, sia quello di controllo dei risultati. Supportando il management nella gestione del cambiamento. |
SNello scenario dell'integrazione applicativa si affaccia un concetto nuovo: l'Integration Competency Center (ICC), il Centro di competenze per l'integrazione. Il termine ha una vaga assonanza con il Contact Center, già evoluzione del Call Center, ma i suoi modelli di riferimento sono di stampo organizzativo, trattandosi di un' entità creata al compito precipuo di integrare, rendere complete, le competenze delle persone che lavorano in azienda, i protagonisti dei processi organizzativi aziendali. In pratica, si tratta di una squadra, da tre a sette o otto persone, a seconda della dimensione dell'impresa e della complessità del progetto, che segue tutte le fasi dell'integrazione delle applicazioni, a partire dall'analisi delle esigenze interne ed esterne all'azienda e dalla costruzione della mappa comportamentale dei domini aziendali, fino al raggiungimento del nuovo assetto organizzativo. Questa squadra ha un compito ben definito: individuare e tradurre in valore pragmatico il nuovo sistema informativo aziendale 'globale' che qualcuno chiama Enterprise Nervous System e il cui concetto è stato ampliato e approfondito anche da Gartner in ambito Application Integration. ICC:
collaborare per integrare I requisiti necessari alla squadra d'integrazione sono numerosi e complessi e si evincono dai compiti ad essa affidati. Innanzitutto, quando un'azienda sente la necessità di impostare un progetto di integrazione delle applicazioni disponibili deve valutare con attenzione le risorse conoscitive in suo possesso. C'è chi ha competenze tecniche adeguate? E chi sa coordinare il lavoro di una pluralità di attori? E, ancora, chi è capace di formare le persone in azienda ai nuovi processi organizzativi e produttivi? Andiamo
con ordine cominciando con il descrivere le fasi tipiche di un progetto di
integrazione, che secondo Christer Forsberg, analista Gartner, si distinguono in
quattro diversi periodi. Le
risorse dell'ICC L'ICC è il risultato della collaborazione di personalità molto diverse tra loro. In particolare, è necessario identificare competenze in architettura di sistema, project management, data modeling, sviluppo software e coding, qualità, system administration e management. Un bell'insieme di capacità, come si vede, da reperire preferibilmente all'interno dell'azienda, anche perché, qualora il progetto dovesse fallire o fosse soggetto a interruzioni, i componenti potrebbero rientrare alle abituali attività. Nulla vieta però che al crescere delle procedure di outsourcing anche l'ICC possa nascere dalla fusione di consulenti esterni e risorse interne. A progetto completato, l'ICC ha due precisi compiti: dimostrare i benefici del nuovo middleware e, soprattutto, motivare ed educare il personale in azienda, compito quest'ultimo molto delicato. In senso lato l'ICC può diventare la centrale di gestione del cambiamento in azienda. L'Integration Competency Center ha una dimensione tipicamente 'glocal', per usare il termine che Ralf Daherndorf nel suo libro Dopo la Democrazia (Editore Laterza) usa nel capitolo dedicato alle ambiguità di una globalizzazione che se da un lato spinge, appunto, verso il globale, induce anche a rifugiarsi, a cercare conforto in ciò e in chi ci è particolarmente vicino. Nel caso dell'ICC l'istanza al locale è dettata da ragioni organizzative e tattiche ma la spinta al globale è tipicamente strategica; il progetto stesso di integrazione delle applicazioni nasce dalla necessità dell'azienda di porre in atto la tensione alla globalizzazione estendendo i suoi confini. C'è di più: ogni progetto di integrazione sviluppato attraverso un ICC porta con sé una riformata visione del pensiero. Come scrive Edgar Morin in La testa ben fatta (Raffello Cortina Editore): "Conoscere e pensare non è arrivare a una verità assolutamente certa, è dialogare con l'incertezza". E il punto di forza dell'ICC sta proprio nella capacità di scovare errori, nell'abilità di identificare le incertezze e i dubbi e poi nella forza di contestualizzare queste debolezze strutturali in uno scenario globale, che è poi quello di sviluppo dell'azienda. Anche in questo senso si parla di 'ecosistema' d'azienda: si tratta di saper vedere il particolare inserito nel globale, con una capacità di sintesi che si costruisce e si matura nel tempo. L'ICC può essere davvero la task force capace di affiancare il management nella costruzione degli scenari evolutivi. In esso sono concentrate competenze umane, conoscitive e tecniche in grado di agire sinergicamente, potenziandosi nel lungo termine e candidandosi alla gestione dinamica del cambiamento. Rischi
e costi Tutto ciò va permeato da un approccio cognitivo cui abbiamo solo accennato, il ‘glocalismo’, quell’atteggiamento cioè che permette di agire localmente e pensare globalmente. Ogni applicazione da integrare è infatti un caso a sé, da conoscere nel particolare per poterlo poi collocare nel progetto d’integrazione globale. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. In pratica però, come suggerito dagli analisti Gartner, la via più semplice per concretizzare tale approccio è quella di rispettare l’identità delle singole applicazioni, evitando ad esempio l’integrazione diretta tra i database, spesso fonte di errori logici e sicuro fattore di moltiplicazione dei costi di manutenzione ordinaria e straordinaria. I rischi di un progetto di integrazione applicativa sono essenzialmente di tre tipi: tecnici, organizzativi e di business.
Il rimedio a questi malesseri c’è, ed è la capacità da parte del management di comunicare la vision all’origine del progetto stesso. Una risposta adatta a mitigare anche i rischi di business, come l’affievolirsi della convinzione, dell’entusiasmo, oppure le restrizioni al budget connesse ai ritardi di sviluppo del progetto o al superamento, imprevisto, delle previsioni di spesa. Insomma: una forte sponsorship del management ai progetti di integrazione è una cosa cui l’EAI non può rinunciare. I
costi dell'integrazione Risulta comunque di grande utilità la classica divisione tra costi diretti e indiretti.
L'analisi dei costi può essere condotta con diverse chiavi di lettura in funzione degli obiettivi operativi, resta però e soprattutto uno strumento per pianificare l'evoluzione del progetto prima e il suo controllo poi, a implementazione avvenuta, risultando di fatto lo strumento di impostazione del ciclo di vita del progetto stesso. L'ICC
contro i costi indiretti
Sempre Gartner riporta che circa il 25% delle maggiori aziende statunitensi ed europee ha creato nel 2002 una task force (talvolta composta da oltre cento dipendenti, molto più, dunque, di una semplice équipe di supervisione) cui affidare la realizzazione dei progetti d'integrazione. Quali sono allora le voci di costo tipiche di un progetto guidato da un ICC ? Innanzitutto quelli legati alle licenze e alla manutenzione software, questi ultimi pari in media al 18% dei costi di licenza. Vi sono poi i costi di consulenza tecnica, quantificabile tra 40 e 80 ore in relazione alla complessità dei sistemi di integrazione scelti; i costi di hardware e network, in linea con quelli tipici dei progetti di e-business e, per finire, i costi dei servizi di integrazione, variabili in funzione della dimensione d'azienda (si oscilla dai 250 mila dollari per le piccole fino ai 10 milioni di dollari per le più grandi). L'approccio sistematico dell'ICC, cui si affianca l'analisi dei rischi già descritta, permette di rendere visibili i costi dell'integrazione, monitorando di fatto tutte le attività tipiche di un progetto. Chiara Battistoni
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