ICT & PMI
PMI
italiane:
innovazione, equivoci, rischi
[ Abstract da pagg. 20-26 di “ICT Professional” (Giugno 2003): notiziario della Federazione delle Associazioni di Information Management ]
Punti di forza e debolezza di un modello imprenditoriale che sembra in crisi di identità e non sempre in grado di mantenere le posizioni. |
Il mondo imprenditoriale italiano è rappresentato, ancor più che quello europeo, da una miriade di micro (< 10 dipendenti) e PMI (10-249 dip.) che influenzano in maniera preponderante la performance dell'economia italiana (fig. 1). Quadro
generale La figura 2 evidenzia come la dimensione media delle aziende italiane (meno di 4 dipendenti e VA circa 138'000 €) sia inferiore alla media europea (circa 7 dipendenti e VA circa 270'000 €). Volendo approfondire l'analisi del VA per segmento di impresa (fig. 3), si può notare come solo le micro imprese generano un valore per dipendente inferiore a quello medio europeo, mentre sia le PMI che le grandi imprese hanno valori superiori. Nonostante ciò, a causa dell'eccessiva rilevanza delle micro imprese, la media italiana rimane inferiore a quella europea: in pratica le aziende con 10 e più dipendenti non riescono a compensare i bassi valori delle micro imprese. Da questo dato si potrebbe, forse, dedurre che le PMI e le grandi imprese riescono a raggiungere risultati migliori concentrandosi sulle attività più strategiche ai fini del proprio business ed esternalizzando quelle a più basso valore aggiunto presso le micro aziende, mentre queste ultime non sembrano avere know-how sufficiente e/o tecnologie aggiornate per ottimizzare la gestione delle attività ed aumentare il livello del loro valore aggiunto. Lo scenario italiano sembra caratterizzato da una consistente diminuzione del peso delle grandi aziende "ancora" controllate da interessi italiani oltre che da una difficile ed ancora troppo "rara" crescita dimensionale dalla categoria delle piccole a quella delle medie aziende e da questa a quella delle grandi aziende. Il successo e la cultura della PMI sono ancora strettamente legati alla persona dell'imprenditore ed associati alla sua esperienza e, solo in alcuni casi anche, a quella dei suoi più stretti collaboratori: questo crea una certa resistenza al cambiamento ed alla crescita. In
generale, le imprese italiane sembrano avere poche ambizioni e scarsa
propensione all'innovazione: Se
analizziamo le esportazioni (fig. 4) abbiamo la conferma che il modello è
caratterizzato da forte presenza nei settori "tradizionali" (ad alta
intensità di lavoro non qualificato), da estrema debolezza nei settori ad alta
intensità di lavoro qualificato e ad alto contenuto tecnologico, oltre che da
"rigidità" come testimonia l'assenza di ogni significativa evoluzione
nel tempo verso i settori più specializzati. Ciò spiega perchè la maggior
parte delle imprese italiane sono sottoposte sempre più alla crescente
concorrenza dei paesi emergenti. Chi
sono le PMI italiane Il
"requisito di indipendenza" sancisce che il capitale o i diritti di
voto non possono essere detenuti per il 25% o più da imprese non conformi alla
definizione di PMI. Inoltre, se l'azienda in esame detiene, anche
indirettamente, il 25% o più del capitale o dei diritti di voto di una o più
imprese, i parametri (numero dei dipendenti, fatturato annuo o il totale di
bilancio) per la verifica dei limiti di cui sopra sono calcolati come somma dei
valori riferiti a ciascuna delle predette imprese. E' da notare che non sempre le società di ricerca ICT seguono questa classificazione nell'effettuare le loro analisi del mercato italiano, neanche quelle italiane, e pertanto i loro dati non sono comparabili con quelli dell'Unione Europea. Inoltre, vi è il rischio di generare confusione, sia negli utenti che nei vendor, su chi sono le "vere" PMI, unici soggetti che possono accedere ad eventuali agevolazioni per lo sviluppo dell'innovazione e delle tecnologie dell'informazione. Per quanto riguarda il tema disinformazione, ricordo che, nel primo trimestre 2003, ho letto sulle due più importanti riviste ICT un articolo in cui la filiale italiana (circa 900 dipendenti) di una multinazionale europea veniva definita media impresa ed un altro in cui un Vendor americano affermava, sbagliando, che l'UE considera PMI quelle con meno di 500 dipendenti. Scenario
IT In Italia gli investimenti ICT (come perc. del PIL) risultano inferiore sia alla media europea che satunitense. Le previsioni per il 2003 mostrano investimenti stazionari: il 45,6% degli intervistati indica che investirà in misura uguale, il 27,4% in misura minore e solo il 27% afferma di investire in misura maggiore. Le Imprese sono tendenzialmente prudenti, mentre i vendor mostrano un certo ottimismo legato soprattutto allo sviluppo delle applicazioni che favoriscono l'integrazione di impresa. In particolare, l'ERP è indicato come l'area in cui si avrà la maggior crescita nei prossimi anni. Il sistema informativo principale utilizzato risulta essere costituito da PC in Rete per il 45,9 delle Imprese (il 47.8% a MI e prov.), mentre il 40% (il 39.7% MI e prov.) utilizza uno o più server dedicati su cui girano programmi particolari quali i gestionali. La maggior parte delle Imprese ha rinnovato il parco macchine tra il 2000 e il 2003, ma esiste un 45% che ha un installato antecedente al 2000, segno che l'anno 2000 e l'Euro non hanno portato ad un completo svecchiamento del parco macchine soprattutto dove esistevano già soluzioni basate su LAN. I principali freni all'innovazione ed all'investimento (fig. 6) sono "nessun valore percepito" e "non considerato". In pratica, alcuni (45%) prendono in esame la possibilità di un'investimento ma non riescono ad attribuire alcun valore alle soluzioni proposte e quindi a comprendere quali siano gli effettivi vantaggi, altri (25%) non prendono neanche in considerazione la possibilità di investire. Vi è anche una resistenza culturale legata all'incapacità di individuare e/o accettare nuove leve competitive che possono favorire il successo dell'azienda e richiedere l'adozione della nuova tecnologia. Soluzioni
adottate Le soluzioni pacchettizzate standard rispondono principalmente alle esigenze delle imprese follower, che la implementano solo quando vi è la certezza che è già stata sperimentata ed è diventata di uso comune, quindi in perfetto accordo con la loro scarsa propensione alla sperimentazione. Il 31,7% degli innovatori scelgono soluzioni costituite da pacchetti personalizzati e quindi rispondenti ad esigenze specifiche, vuoi di processo o di settore di appartenenza, che comportano la verticalizzazione del prodotto. La personalizzazione viene fatta soprattutto da terzi, quindi viene demandata all'esterno il compito di adattare il pacchetto alle esigenze proprie dell'azienda. Per
quanto riguarda le aree coperte dal gestionale (fig. 8),
l'amministrazione e contabilità è quella maggiormente coperta (il 96,4% a MI e
prov. e il 95.4% per l'Italia), seguita da quelle relative agli acquisti e alla
logistica (nella misura del 73,6% per MI e prov. e del 72,7% per il totale
Italia). Questo fatto è ricollegabile all'obbligatorietà della tenuta dei dati
contabili ed alla necessità di gestire internamente dati che vengono
considerati sensibili dall'azienda. Analizzando
invece le modalità con le quali le Imprese danno accesso alle informazioni
aziendali, Internet è il canale privilegiato (25% per Milano e provincia,
contro il 27% per il totale Italia) rispetto a Intranet ed Extranet. L'accesso
alla rete avviene tramite: Per quanto riguarda i progetti di eBusiness (fig. 9), l'attenzione del 13,7% delle Imprese (16,7% a MI e prov.) è focalizzata soprattutto sul Datawarehouse e Business Intelligence. Questo sottolinea come stia diventando sempre più importante per alcune Imprese la gestione e l'analisi dei dati aziendali a supporto delle decisioni. Scenario
in evoluzione
La PMI vede solo l'uso strumentale dell'ICT, cioè percepisce l'ICT solo come strumento che risolve un problema ben chiaro. La cultura della PMI è basata ancora sul possesso individuale dell'informazione, su mentalità reattiva (non ancora pro-attiva) e scarsa pianificazione, sulla personalizzazione, sulla presenza fisica, su rapporti e processi molto formali (anche se taciti e non formalizzati), oltre che su flessibilità e creatività. Invece, le "nuove" soluzioni ICT spingono a strutturare, a formalizzare, a delegare, a condividere le informazioni, a creare ordine e pianificare: tutto ciò è un elemento di discontinuità rispetto alla cultura ed alle caratteristiche della PMI italiana. Le nuove generazioni imprenditoriali mostrano una certa apertura verso le tecnologie emergenti e le percepiscono come fattore di cambiamento per tutto il sistema azienda. In occasione del cambio generazionale, la tecnologia può essere un potenziale di innovazione e sviluppo anche per la PMI, ma senza una forte sponsorship del "nuovo" imprenditore, ed un contemporaneo incremento della cultura aziendale, non riuscirà mai a trasformare questa potenzialità in realtà. Questo universo è spesso vittima di una spirale di equivoci, forse alimentati anche dai fornitori di innovazione (metodologie, tecnologie, formazione, ecc.) che non sempre conoscono la "vera" PMI (10-249 dip.; fatturato < 50 Mln €) e non sempre sono in grado di proporre soluzioni adeguate. La strategia Microsoft di sviluppare soluzioni (ERP, CRM, SCM, ecc.) orientate particolarmente alla "vera" PMI e quella SAP con l'offerta di nuove soluzioni adatte anche alle piccole imprese sembrano rivoluzionare il mercato PMI a livello globale. La prospettiva potrebbe essere la creazione di un duopolio ed un'occasione persa dai vendor italiani che non sono riusciti a svilupparsi, a livello internazionale, in questo segmento nel periodo in cui i grandi player erano assenti. Ultima considerazione, in questo scenario potranno svolgere un ruolo fondamentale anche quei consulenti di management che conoscono la "vera" PMI per aiutarle a superare la diffidenza verso il cambiamento e l'innovazione, dovuta sia a non conoscenza delle potenzialità offerte dalle tecnologie che ad esperienze negative. Il fornitore di tecnologia e la PMI hanno spesso bisogno di un "facilitator" (il consulente di management) che sappia relazionarsi in modo opportuno e differenziato nei loro confronti: deve innanzitutto saper ascoltare i personaggi all'interno della PMI e comprendere il loro linguaggio ed i loro veri problemi, poi trasferire ai fornitori di tecnologie queste esigenze in modo opportuno e in un linguaggio adatto. Il consulente di management nell'effettuare l'analisi dei problemi e la definizione dei "needs" diventa l'agente del cambiamento culturale sia nei confronti dell'azienda-utente che del Vendor. Oscar Pallme |